X Edizione Turno di Notte - Menzione Speciale Premio Giallo Garda - Bianca Brotto PDF Stampa E-mail
"Turno di notte" di Bianca Brotto

 

Mai vista una notte così bella.
Una luna da favola, un cielo da poesia.
L'aria bruna, dorata addirittura, appena fresca.
Unica nota stonata: il ricordo di quella voce.
Sottile, tagliente, feroce.
Una voce cattiva.
Appena un sussurro: "Buona fortuna".
(Carlo Lucarelli)

Eppure lui lo sapeva quanto ci tenevo, quanto avrei voluto pubblicare un libro, quanto quell'invito a partecipare al concorso "Turno di notte" trovato per caso sul bancone del panificio di Raffa, mi avesse catturata.

Da anni non sentivo più la sottile eccitazione del sangue che scorre a fior di pelle, il guizzo frizzante della vita che mi riaccende.

Avevo trovato il giornalino che parlava del concorso sette giorni prima della gara scrittoria e nel rientrare a casa mi ero catapultata in soggiorno.

Papà sedeva sulla vecchia poltrona di pelle nera e osservava il lago. Stava per ore con lo sguardo fisso sulla Rocca di Manerba e sul Sasso, i promontori che ornano quello che lui chiama il "suo" Golfo della Romantica.

Fin da bambina aveva raccontato a me e a mia sorella del profilo della Rocca che ricorda quello di Dante Alighieri, del laghetto dove sono stati ritrovati strumenti di selce del Mesolitico, del buco della palude che conduce alla parete rocciosa che guarda verso Sirmione e molte altre storie, ma mai la sua.

«Papà - la mia voce era squillante - papà, ho trovato una cosa bellissima!»

Il suo sguardo inespressivo era stata l'unica risposta.

«Senti qui papà, voglio leggerti una storia» avevo detto lasciandomi cadere sul Luigi XVI, il divanetto battezzato in quel modo da papà da quando una donna del paese l'aveva chiamato "el laur con la tapezzeria rosa".

Papà aveva continuato a fissare il lago.

Il Pelèr soffiava deciso da nord increspando l'acqua che riluceva argentea fra le ochette bianchissime di schiuma, un paio di Kite si contendevano lo spazio acqueo vicino all'isola dei Conigli e i motoscafi trasportavano le pance gonfie di birra dei tedeschi. Adoravo le sfumature brillanti dell'acqua, le avevo negli occhi da cinquant'anni e ancora mi emozionavano e sentivo che, se quello della Romantica era il suo golfo, quel giorno era il mio giorno.

«Ho trovato questo libretto con i racconti dei vincitori di un concorso che viene organizzato ogni anno, ho letto alcune righe del primo, troppo bello!».

Fu allora che si girò verso di me: «E a me che importa?».

«È una bel brano, papà, mi ha coinvolta fin dalle prime righe, piacerà anche a te».

Sospirò come se quella faccenda fosse solo una scocciatura, ma io, quella volta, ero una retta in corsa verso l'infinito.

«Inizio a leggere e se ti stufo mi fermo, ok?»

«Se, se, dài, inizia che almeno la fai finita presto».

Iniziai e non mi fermai più; lessi il primo racconto tutto d'un fiato, poi passai al secondo e infine al terzo classificato. Più che leggere recitavo le parole e più mi addentravo nel cuore delle vicende, più mi incendiavo tant'è che papà non mi diede mai l'alt.

Quando pronunciai l'ultima parola calò il silenzio, ma il mio era molto rumoroso; una manciata di petardi mi si erano accesi nelle mani e insieme a loro era esploso il bisogno di tornare a percorrere con le dita la tastiera del computer. Dovevo partecipare al concorso, a tutti i costi.

Papà taceva chiuso nel suo mondo dove esistevano solo lui e le sue esigenze, una delle quali era il divieto assoluto di allontanarmi da casa per più di tre ore e mezza.

Il perché di quella fissa era una delle tante domande per le quali non era prevista una risposta; c'era un badante giorno e notte, una donna delle pulizie che veniva tutte le mattine, i custodi che si occupavano delle manutenzioni della villa e del parco e io che avrei potuto fare una bella vita se non fosse stato per i novantacinque anni di ostinato egoismo di papà. Io ero sua.

A differenza di mia sorella, non mi ero sposata, il Mollificio Bresciano di San Felice del Benaco, per il quale avevo lavorato come ragioniera per vent'anni, aveva chiuso i battenti nel 2004 e non essendo più i miei quarant'anni considerati un primo pelo, non avevo nell'immediato trovato un nuovo posto nonostante mi sentissi giovane e piena di risorse.

Era stato allora che papà, ottantunenne e vedovo da qualche mese, mi aveva proposto di occuparmi di coordinare il personale di casa sua. Lui mi avrebbe ospitata in villa e, ancor più volentieri, mi avrebbe "comprata", ma questo divenne evidente solo qualche tempo dopo.

Avevo così lasciato l'appartamento dove ero in affitto per trasferirmi nella grande proprietà fronte lago e quella che pensavo essere una soluzione temporanea, era diventata una condizione permanente.

Papà, più che me in carne ed ossa, avrebbe voluto la gioia del mio contemplare l'alba, il mio sorridere alle gocce di temporale che schiaffeggiano i vetri, il canticchiare di primo mattino, lo sguardo incantato dalla danza vibrante del pioppo..., ma così non era stato. Se in un primo tempo era apparso meno scorbutico, da anni la mia felicità gli dava solo fastidio.

Io però mi ero già iscritta al concorso "Turno di notte" che prevedeva la scrittura in sette ore di un racconto con l'incipit di Lucarelli letto alle ventidue del sabato 7 luglio. Dopo tutto sette ore erano solo tre ore e mezzo per due, sarei andata a scrivere alla Cantina Marsadri nonché Libreria Bacco, che distava solo un paio di chilometri da casa e sarei scappata da papà verso le due di notte per timbrare il cartellino e non infrangere il divieto.

«Non se ne parla nemmeno» aveva tuonato lui quando, due giorni prima dell'evento, lo avevo informato.

«Perché? Torno esattamente alle due così...».

«Mi hai sentito? Non se ne parla. Punto».

«No, papà, voglio andarci».

«Vacci allora, ma non tornare più qui».

«Perché?»

«Ti mantengo e questa è la tua riconoscenza?»

Mi sorpresi a rispondere semplicemente: «Sì».

Uscii dalla stanza, avevo bisogno del mio lago. Scesi in giardino e andai fino alla balaustra che si affaccia sulla spiaggia. L'erba era ancora bagnata dallo scroscio della mattinata, le foglie del pioppo stavano danzando Chopin mentre le palme sembravano tamburellare musica rap. Respirai l'aria calda di quel mezzogiorno rinfrescato dal "vent Balì che dura tre dì". Mi sentivo leggera come non mai. Il "Turno di notte" si avvicinava, e nonostante la minaccia di papà, ci sarei andata.

 

7 luglio 2018, ore 21,30

Entro in soggiorno, papà non c'è. Vado in camera, niente.

«Papà, papà» chiamo affacciandomi al balcone.

Scendo in giardino anche se lui non ci va mai. Non lo trovo.

Me ne faccio una ragione e vado in garage. Papà è lì che mi aspetta seduto vicino alla mia Golf.

«Ah eccoti, ti cercavo per salutarti» dico con voce squillante.

«Dammi le mie chiavi».

«Cioè? Dài papà, basta con 'sta storia»

«Ho detto dammi le chiavi di casa. Se vuoi fare di testa tua, qui non c'è più posto per te».

Sorrido: «Vuoi che vada a dormire sulla Rocca?»

«Vai dove vuoi, non è più affare mio».

Fa sul serio, lo sguardo è affilato. Frugo nella borsa e gli consegno le chiavi.

«Buona fortuna» sussurra con la perfidia addosso.

«Grazie papà, ne ho bisogno. Non ho idea di come sarà l'incipit e non scrivo da anni, ma mi porto in tasca la tua fortuna».

«Fai, fai la spiritosa! Calerai presto le arie».

«Hai ragione, infatti non c'è quasi più vento! Scappo, scrivo, vinco il concorso, mi contatta Mondadori e passo a trovarti non appena gli impegni letterari mi concedono una tregua» ribatto entrando in macchina con le sue ultime parole a inzaccherare il parabrezza del mio cuore.

«Non vincerai mai niente - mormora schiumando cattiveria - buona fortuna».

Ha gli occhi marroni, papà, ma in questo momento virano al rosso e io, semplicemente, ingrano la marcia e parto.

 

C'è la luna, stanotte, è arancione e sta sorgendo dietro l'isola dei Conigli; mi fermo in cima alla strada panoramica che conduce a Raffa per ammirarla. Non è solo la luna, è la notte a essere potente o forse sono io. Io che non ho paura, io che non ho più una casa, ma che mi sento leggera e padrona del mondo.

La cantina Marsadri profuma di vino e tralci freschi, la signora Laura ci coccola con caffè, dolcetti, macedonia, panini ma, soprattutto, con la dolcezza e la passione che avvolge ogni suo gesto. I tavoli di legno profumano di lavanda  che, raccolta a mazzetti, li orna, alcuni bicchieri di vetro riposano su tovaglioli di carta color bordeaux in attesa di scattare al nostro servizio. C'è tutto quel che serve per riunire una manciata di cuori in un unico calice traboccante armonia.

Lucarelli legge in rete l'incipit e iniziamo la maratona notturna; scrivo, scrivo, sono un flusso infinito di parole, non so dove si siano nascoste in tutti questi anni. Le mie dita corrono sui tasti e le scopro raccontare la storia di una famiglia: la mia. Gente molto stimata e rispettata nella zona, "sior" di città con qualche, diciamo, curiosità. Che strano, non l'avevo mai detto prima, forse nemmeno a me stessa.

Sono preda di un raptus irrefrenabile e stanotte racconto tutto. Tanto non vincerò mai, ha detto papà, quindi i segreti della mia famiglia saranno custoditi al sicuro fra le botti della signora Laura, almeno per tre ore e mezzo... sì, perché la nostra storia è partita tutta da lì, da quella mattinata di tre ore e mezza che ha fatto la differenza, ma papà non sa che io so e mai potrebbe immaginare che a spifferarmi tutto sia stata la zia pochi giorni prima di morire. La zia mi ha fatto promettere che non avrei mai detto niente a nessuno, ma non ha accennato al divieto di scriverne.

 

Profuma di vino anche questa storia, ma non di "Groppello Brolo" e nemmeno di "Bianco del Pioppo". Quella volta sulla tavola c'era una bottiglia di Louis Roederer Cristal e papà l'aveva bevuta tutta insieme al suo amico di sempre. Voleva festeggiare una truffa colossale che era riuscito a portare a termine.

Elegantemente vestito di tutto punto, papà aveva accompagnato una coppia di inglesi a visitare sul Gargano una storica dimora con parco. Si trattava di un grande affare in quanto i proprietari (lui) volevano vendere con urgenza e la cifra richiesta, tre miliardi di vecchie lire, corrispondeva a meno della metà del valore reale. Gli acquirenti, sollecitati a stringere l'affare che sennò sarebbe sfumato, si erano così recati con papà dal notaio ma, mentre salivano la scalinata di marmo del palazzo dove campeggiava la targa "Notaio Cobalto", avevano incontrato il Dr. Cobalto in persona che scendeva le scale. L'uomo si era scusato con papà spiegando di dover correre al capezzale di una donna in punto di morte e di non poter, quel giorno, fare l'atto. Su insistenza di papà motivata dalla grande urgenza, il notaio aveva accettato di stipulare la compravendita quella sera stessa a casa degli inglesi, e così era stato. Tutto era filato liscio e gli acquirenti avevano pagato in denaro sonante una proprietà che non solo non era di papà, ma che non era affatto in vendita; papà, insieme al finto notaio, si era procurato un doppio delle chiavi e in pochi giorni avevano concluso l'affare.

Quella di papà era stata una vita di truffe sapientemente orchestrate dietro la facciata di un'apparente attività di intermediario immobiliare. La zia mi aveva raccontato tresche incredibili e anche di quella famosa mattina da tre ore e mezzo che aveva trascorso con lui sulla Rocca di Manerba, in seguito alla quale ero nata io. Trovandosi ragazza madre a soli vent'anni e dovendo lavorare, mi aveva data in adozione a sua sorella, sposata con papà. La zia, cioè la mia vera mamma, aveva vissuto una vita intera scaglionando la giornata al ritmo di quel suo unico intervallo d'amore: colazione alle nove, pranzo alle dodici e trenta e se era andata un mese prima di sua sorella. Papà era rimasto senza entrambe e di lì a poco io ero andata a vivere con lui.

 

La notte del 7 luglio, al concorso "Turno di notte", raccontai di papà, delle sue truffe e delle sue carezze sulla Rocca e, alle cinque di mattino, consegnai il mio racconto alla signora Laura e tornai a casa. Bussai al custode che mi disse avere il divieto di aprirmi, ma che mi ospitò di nascosto in casa sua.

Fu una vera sfortuna vincere.

Il mio racconto fu pubblicato insieme a quello degli altri vincitori, papà venne messo agli arresti domiciliari, le sue proprietà furono confiscate e io, in attesa della telefonata della Mondatori, dormo ancora dal custode che è un uomo molto gentile.

Ogni tanto mi dico: sarebbe da ridere se fosse il padre di mia sorella!

 
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